😨 Il panico dei Dem è giustificato?
Si respira ansia nella campagna di Kamala Harris. A pochi giorni dal voto i due candidati sono quasi pari, ognuno con i propri problemi, fra minoranze, soldi e interviste. Che succede?
Ogni settimana che passa la sfida fra Trump e Harris appare un po’ più serrata di prima. Mentre scriviamo, il modello di Nate Silver dà a Trump il 50,2% di probabilità di vittoria, mentre FiveThirtyEight dà il 52,1% di probabilità di vittoria a Harris.
Dal dibattito americano si percepisce una crescente preoccupazione del fronte Democratico, anche se lo scenario non è radicalmente diverso da quello di poche settimane fa. Secondo il modello di Nate Silver, Kamala Harris non ha mai avuto più del 58% di chance di vittoria, a differenza di Trump, che a inizio settembre (quindi due mesi dopo l’entrata in campo di Harris) aveva il 64% di probabilità di successo.
E non costringeteci a ricordarvi l’analogia con il basket della settimana scorsa: fra il 50% e il 55% di probabilità di vittoria la differenza c’è, ma è minima.
Anche nelle medie dei sondaggi non è cambiato tantissimo, ma in una situazione così incerta anche piccoli cambiamenti (un piccolo calo nel “Blue Wall”, cioè in Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, per esempio) possono fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta di Kamala Harris.
Il 15% fra gli elettori neri può bastare a Trump?
In questi giorni è uscito un nuovo sondaggio di Siena College per il New York Times che conferma le difficoltà dei Democratici fra gli elettori afroamericani. Abbiamo dedicato al tema una puntata di 270 poche settimane fa.
Quando parliamo di difficoltà per i Dem, intendiamoci, non stiamo dicendo che siano in minoranza: ma che “solo” il 78% degli elettori afroamericani intende votare Kamala Harris. Joe Biden e Hillary Clinton avevano raggiunto e superato il 90%. Trump avrebbe oggi il sostegno del 15% degli elettori neri: una percentuale minima, ma pari a più del doppio di otto anni fa.
Ricordiamolo: gli afroamericani rappresentano circa il 14% della popolazione statunitense, ma soprattutto un terzo della popolazione della Georgia, oltre il 20% in North Carolina e ben più del 10% in Pennsylvania e Michigan, dove la loro presenza è concentrata nelle aree urbane di Philadelphia (38%) e Detroit (37%). Insomma: contano negli stati che contano.
Per questo anche un aumento del sostegno ai Repubblicani apparentemente irrilevante può diventare decisivo, e infatti la campagna di Kamala Harris si sta impegnando tirando fuori i nomi grossi. In queste settimane, non a caso, è aumentato l’impegno di Barack Obama nella campagna della candidata Dem. Forse avrete visto il suo intervento a Pittsburgh, la seconda città della Pennsylvania. Negli ultimi giorni di campagna elettorale dovrebbe arrivare in Georgia anche Michelle Obama, in uno dei suoi rari interventi politici degli ultimi anni.
Un dato interessante del sondaggio di cui vi stiamo parlando riguarda come si percepiscono gli elettori afroamericani. L’81% degli elettori neri che votano Harris ritiene che la razza sia un elemento importante della propria identità, mentre solo il 33% di chi vota Trump pensa la stessa cosa.
Ricorda un po’ un ragionamento che avevamo fatto parlando degli elettori latinoamericani: ormai molti non votano in base alla propria razza, ma sono guidati da altri elementi che compongono la loro identità (la religione, la famiglia…) o banalmente dalle questioni che sentono prioritarie (l’economia, per dirne una).
In effetti, sottolinea il New York Times, se si va a scavare sui singoli temi, gli elettori afroamericani sono molto più vicini a Trump di quanto ci si aspetterebbe basandosi solo sulle loro intenzioni di voto: il 40% sostiene la proposta di un muro col Messico e il 41% approva l’idea di Trump di deportare gli immigrati irregolari.
Come spendereste 75 milioni di dollari?
Martedì sono stati pubblicati alcuni documenti sul finanziamento delle campagne elettorali di queste presidenziali. Un momento che la stampa americana attendeva soprattutto per un motivo: capire quando avesse investito Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, per sostenere Donald Trump.
Lo stesso Musk era stato furbo, evitando di donare anche un solo dollaro fino al primo luglio, in modo che i documenti sui suoi finanziamenti rimanessero riservati fino a ottobre.
Ed eccoci qui: Elon Musk ha investito 75 milioni di dollari in un Super PAC che lui stesso ha fondato, America PAC. Musk però (per ora) è stato superato da Miriam Adelson, editrice e imprenditrice israeliana naturalizzata statunitense, ultima moglie del magnate Sheldon Gary Adelson (morto nel 2021), che ha donato 100 milioni di dollari per Trump.
Se a questi due donatori si aggiunge Dick Uihlein, uno degli uomini più ricchi del Midwest, si superano i 220 milioni con tre soli donatori, tutti per l’ex Presidente Repubblicano.
Fra grandi donatori che hanno destinato i propri soldi direttamente alla campagna di Kamala Harris (che a differenza dei Super PAC ha un limite di donazioni individuali poco inferiore al milione) spiccano l’ex moglie di Bill Gates, Melinda French Gates, e Laurene Powell Jobs, vedova di Steve Jobs, insieme ad altri nomi meno noti al grande pubblico, come l’agente di Hollywood Ari Emanuel e l’investitore Tim Draper.
Un’altra rivelazione contenuta in questi documenti riguarda alcuni spot sulle posizioni liberal di Robert Kennedy Jr., che secondo il New York Times sembravano operazioni create da sostenitori Repubblicani per danneggiare i Dem, ed effettivamente lo erano.
L’età di Trump è un problema?
Negli ultimi giorni i sostenitori di Kamala Harris, e la candidata stessa, hanno dato grande risalto sui social media a un video di un town hall (un evento pubblico in cui il pubblico fa domande al candidato) durante il quale Trump si stufa presto delle domande e resta sul palco a ballicchiare per circa 40 minuti mentre vengono trasmesse canzoni di vario genere (da Andrea Bocelli ai Village People).
L’episodio è stato descritto dai detrattori di Donald Trump come un esempio della sua scarsa lucidità, con metodi simili a quelli utilizzati dai sostenitori trumpiani contro Joe Biden fino al suo ritiro. Già prima del ritiro di Biden i canali social della campagna Dem avevano provato questa strategia: evidenziare i momenti in cui Trump si confondeva, perdeva il filo, diceva qualcosa di assurdo per rimarcare la sua perdita di brilantezza. Alla fine però, come sappiamo, tra i due quello che si è ritirato è Biden.
Ma oggi che il duello non è fra Trump e il presidente più vecchio della storia americana, ma fra Trump e una donna di 59 anni, non è che è il tema dell’età ha cambiato direzione? Secondo un recente sondaggio di YouGov, il 34% degli elettori pensa che l’età intaccherebbe in modo significativo la capacità di Trump di svolgere i propri compiti presidenziali.
Ovviamente lo pensano soprattutto gli elettori Dem, ma anche gli indipendenti.
Questo è tanto o poco? Tanto rispetto al dato di Kamala Harris (il 7% pensa la stessa cosa di lei) ma anche molto di più rispetto a Trump quattro mesi fa (26%). Insomma, il confronto con Harris potrebbe aver fatto male all’immagine dell’ex Presidente.
Per mettere tutto in prospettiva, però, ricordiamo che quattro mesi fa il 54% degli elettori pensava che l’età di Biden avesse un impatto sul suo mandato presidenziale.
Tutto il resto: missione compiuta per Jimmy Carter, Harris su Fox, Rafa Nadal
📬 Jimmy Carter ce l’ha fatta. Grazie al voto per posta in Georgia, l’ex presidente, che il 1° ottobre ha compiuto 100 anni, è riuscito a votare per Kamala Harris.
📺 Kamala Harris si è fatta intervistare per mezz’ora su Fox News, canale televisivo notoriamente di destra. L’intervista è stata tesa ed è stata interpretata come un tentativo di Harris di recuperare in un momento non facilissimo. Fra l’altro Harris potrebbe presto apparire in un altro media a lei avverso, il podcast di Joe Rogan.
🤝 Forse la politica americana si sta lentamente riallieando, secondo Nate Silver. Gli stati Dem votano più a destra, quelli GOP più a sinistra.
🎾 In occasione del ritiro dal tennis di Rafa Nadal, YouGov ha inserito il suo nome nella batteria di personalità su cui chiede l’opinione degli elettori, insieme ai candidati e ai leader politici. Negli USA non è molto noto, e sappiate che chi lo conosce tendenzialmente lo apprezza.
Ulteriori letture
Harris non si è fatta intervistare solo da Fox News, ma anche da una serie di trasmissioni televisive o online minori (si è parlato molto settimana scorsa dell’intervista nel podcast sulla sessualità “Call her daddy”). Si tratta di una strategia non tradizionale di microtargeting, scrive fra gli altri il Los Angeles Times.
Fino a poco tempo fa i miliardari del tech che sostenevano i Repubblicani erano mosche bianche; oggi invece ci sono e si fanno sentire, a partire ovviamente da Elon Musk. Ma perché? Se lo chiede l’Atlantic. Spoiler: c’entrano i soldi.
Quanto saranno precisi (o imprecisi) i sondaggi quest’anno? Un articolo del New York Times con tanti grafici.