🗝 Decidono gli stati chiave
La convention Dem ha ufficializzato il ticket Harris-Walz e Kennedy si è ritirato annunciando il suo endorsement per Trump. Ma chi è in testa al momento negli stati che decideranno l'elezione?
Ci siamo assentati per un paio di settimane, ma la politica non va in vacanza, soprattutto quella americana in un anno elettorale: eccoci tornati con la nostra newsletter su tutti i numeri che contano per capire le elezioni presidenziali negli Stati Uniti.
La convention Dem
Tra il 19 e il 22 agosto a Chicago c’è stata la convention dei Democratici, nella quale sono state ufficializzate le candidature di Kamala Harris a presidente e del governatore del Minnesota Tim Walz a vicepresidente. Ci sono diversi momenti che rimarranno di questa convention: ripercorriamo i più significativi.
C’è Barack Obama, che rivede il suo celeberrimo slogan del 2008 in “Yes, she can”.
C’è Bill Clinton, che torna sul tema dell’età scherzando sul fatto di essere ancora più giovane di Trump, nonostante abbia appena compiuto 78 anni.
C’è Michelle Obama, che si chiede chi dirà a Trump che la carica a cui è candidato potrebbe essere proprio un lavoro da neri, rifacendosi alla discussa espressione black jobs usata dall’ex presidente.
Ci sono le nipotine di Kamala Harris, Amara e Leela, che spiegano a Trump come si pronuncia correttamente il nome della loro prozia.
C’è Tim Walz, che nel parlare di diritti riproduttivi racconta dei problemi di infertilità della sua coppia, con il figlio Gus, neurodivergente, che si emoziona.
E naturalmente c’è Kamala Harris, che accetta una storica nomination e si candida per diventare la prima presidente donna degli Stati Uniti.
Il ritiro di Kennedy
L’altra notizia rilevante delle ultime due settimane è quella del ritiro di Robert Kennedy Jr., che ha annunciato il suo endorsement per Donald Trump. Per essere precisi Kennedy non si è completamente ritirato dalla corsa, ma ha annunciato che rimuoverà il suo nome dalle schede di “una decina di stati in bilico” invitando appunto a votare per l’ex presidente.
Tuttavia, in alcuni stati - tra cui Michigan e Wisconsin - il suo nome potrebbe comunque rimanere sulle schede per via della legge che impedisce di cancellare il proprio nome a questo punto della corsa presidenziale. Un bel paradosso per un candidato che in precedenza aveva fatto tanta fatica per essere presente sulle schede del maggior numero di stati, e ora ne deve fare altrettanta per cancellarsi.
Comunque, nonostante un padre e due zii che furono esponenti Democratici di primo piano e nonostante lui stesso in origine volesse correre alle primarie Dem contro Biden, Kennedy è molto vicino al mondo dei no-vax e delle teorie del complotto e quindi il fatto che abbia deciso di sostenere Trump - con cui comunque è stato molto critico in passato - alla fine non sorprende più di tanto.
Più interessante, invece, il fatto che poco prima del ritiro si attestasse intorno al 4% nei sondaggi - una percentuale non trascurabile per essere un candidato indipendente, anche se in netto calo rispetto a qualche mese prima.
Ora, sappiamo che in politica 2+2 non fa 4 e quindi i voti che sarebbero andati a Kennedy non andranno tutti automaticamente a Trump, ma sicuramente si tratta un potenziale assist non da poco per l’ex presidente - che, fra l’altro, in quest’ultimo mese ha tenuto davvero pochi comizi specie in rapporto allo stesso mese del 2020.
Si potrebbe pensare che il numero di eventi di Trump sia diminuito dopo l’attentato in Pennsylvania, ma in realtà stava già facendo meno apparizioni pubbliche rispetto a Biden tra maggio e luglio.
Come va negli stati chiave?
Ormai lo sapete: poiché il presidente degli Stati Uniti è eletto non direttamente ma dai 538 grandi elettori, il vincitore si decide in un manipolo di stati chiave in cui il risultato è in bilico. Vediamo quindi com’è la situazione in questi stati.
Partiamo con la media del New York Times in 5 stati chiave: Harris e Trump sono appaiati in Arizona, mentre in Georgia c’è un vantaggio dei Repubblicani di 2 punti e in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin i Dem sono avanti di uno-due punti.
Il modello dell’analista Nate Silver considera invece più stati tra i “battleground” e, se consideriamo i 7 più incerti in cui si deciderà l’elezione, notiamo che Harris è in lieve vantaggio in 6 di questi 7, mentre in North Carolina è appaiata a Trump col 47,8%. Nel 2020 proprio la North Carolina fu l’unico di questi 7 stati chiave perso da Biden.
Inoltre, Harris è cresciuta in tutti questi 7 stati rispetto a un mese fa, ma Silver sottolinea che questo è dovuto al convention bounce, cioè all’effetto traino dovuto alla recente convention dei Democratici.
Ok, ma quindi chi vince? Secondo il modello di FiveThirtyEight al momento Harris vince in 583 simulazioni su 1000 e Trump in 412 su 1000, mentre nelle restanti 5 i due candidati sono appaiati a 269 grandi elettori. Insomma, la partita è aperta. Anche perché in questo modello Harris viene data lievemente avanti in Wisconsin e Michigan, ma gli altri 5 stati chiave (Nevada, Arizona, Pennsylvania, North Carolina e Georgia) sono etichettati come toss-up.
Più in generale, possiamo dire che Harris è avanti nei sondaggi a livello nazionale (+3,8 punti su Trump nella media del Silver Bulletin), ma la faccenda si complica quando si guarda ai battleground states, in particolare ai possibili tipping point states.
Immaginiamo di ordinare gli stati in base al margine decrescente di vittoria del presidente eletto: il tipping point state è il primo stato che, in questo ordine, permette all’eletto di raggiungere quota 270 grandi elettori. Quindi è uno stato in cui il margine di vittoria è verosimilmente ristretto, anche se non è necessariamente quello in cui è il più ristretto.
Per capirci: nel 2020 il tipping point state per la vittoria di Biden fu il Wisconsin, dove vinse di 0,6 punti su Trump. Come si vede nell’immagine qui sotto, in altri due stati - Arizona e Georgia - Biden vinse con un vantaggio ancora minore, ma il tipping point state in questo caso fu il Wisconsin perché fu quello che, nella classifica discendente degli stati per margine di vittoria, gli permise di arrivare a 270 grandi elettori.
Nate Silver ci dice che stando al suo modello questa volta la Pennsylvania è il tipping point state in oltre un terzo dei casi. Tuttavia, i sondaggi condotti su questo stato danno o un pareggio tra Harris e Trump o un vantaggio ai Repubblicani, e questo quindi deve preoccupare Harris.
La Pennsylvania è del resto il battleground state che mette in palio più grandi elettori (19): chi vincerà qui lo farà probabilmente con un margine risicato e lo scenario in cui Harris non viene eletta perché vince nel voto popolare ma perde tra i grandi elettori - come già accaduto nel 2016 con Clinton - non può essere escluso. Per capirci, Silver stima che, se a livello nazionale Harris vince nel voto popolare con un vantaggio tra 1 e 2 punti, c’è una probabilità del 69% che sia comunque Trump a superare quota 270 grandi elettori.
Tutto il resto: due dibattiti cruciali, staffisti Repubblicani con Harris, un nuovo filmato di Pelosi dopo l’assalto a Capitol Hill, e che c’entra Inside Out?
📺 Il dibattito televisivo previsto per il 10 settembre tra Harris e Trump si avvicina, ma non è chiaro se sia già stato raggiunto o meno un accordo sulle regole. Di cosa aspettarci da questo dibattito, che sarà trasmesso da ABC News, parleremo approfonditamente nella newsletter della prossima settimana.
🤝 Nel frattempo anche i due candidati vice, Tim Walz e J.D. Vance, hanno accettato di confrontarsi in un dibattito televisivo: si terrà il 1° ottobre e sarà ospitato da CBS News.
🥹 Gioia è tornata nel quartier generale delle emozioni degli elettori Repubblicani e Democratici, mentre se ne è andata Rabbia. Se non avete visto nessuno dei due film di Inside Out non potete cogliere il riferimento, quindi proviamo a spiegarvelo così: in un sondaggio Siena College/New York Times è stato chiesto agli americani di descrivere con una parola come si sentono relativamente a queste elezioni. Rispetto a febbraio per gli elettori di entrambi i partiti sono aumentate le parole che esprimono gioia, eccitazione e speranza, mentre sono diminuite quelle che esprimono rabbia e delusione.
✍️ Un erede di una dinastia Dem come Kennedy avrà anche annunciato il suo endorsement per Trump, ma allo stesso tempo più di 200 collaboratori e staffisti di Repubblicani importanti - assistenti che hanno lavorato per il presidente George W. Bush e per i candidati alla presidenza Mitt Romney e John McCain - hanno firmato una lettera di endorsement per Kamala Harris.
🎥 Durante l’assalto di Capitol Hill del 6 gennaio 2021 l’allora speaker della Camera, la Dem Nancy Pelosi, fu in prima linea per cercare di ripristinare l’ordine. Sua figlia Alexandra, che è regista di documentari, filmò la madre nel corso di quelle ore e già nel 2022 uscì un documentario su questo. Ora in un nuovo filmato, consegnato al Congresso dalla HBO e ottenuto dalla CNN, si vede Pelosi in auto chiedere al suo assistente di concentrare il discorso che avrebbe pronunciato di lì a poco sulle responsabilità di Trump, chiamato “nemico domestico”, piuttosto che su quelle del capo della polizia.
Ulteriori letture
Uno studio del Pew Research Center mostra che la maggioranza dei presidenti e vicepresidenti eletti nella storia degli Stati Uniti hanno avuto età vicine tra loro. Harris e Walz hanno appena 6 mesi di differenza, mentre se vincessero Trump (78 anni) e Vance (40) ci sarebbe la maggiore differenza di età di sempre tra un presidente e il suo vice.
Dimmi in che ambito lavori e ti dirò a chi vanno le tue donazioni: avvocati, scienziati e insegnanti donano molto di più ai Democratici, mentre camionisti, idraulici e saldatori molto più ai Repubblicani.
In quali attività extra-politiche secondo gli americani Trump è più bravo di Harris e in quali è il contrario? Secondo un sondaggio YouGov la candidata Dem sarebbe migliore di Trump in tantissime attività tra cui cucinare, ballare, vestirsi, ma anche mantenere segreti e ricordare compleanni, mentre l’ex presidente sarebbe più bravo a dare consigli finanziari e a vincere a poker.