🤝 Chi sarà il vice di Trump?
Gioca a fare la tua scelta! La lista dei papabili va da Tucker Carlson a Nikki Haley. Ci sono novità sul pareggio 30.249-30.249 (uno dei due sfidanti ci sarà rimasto male) e sull'aborto in Arizona.
Mancano due mesi e mezzo alla convention del Partito Repubblicano, che si terrà a metà luglio a Milwaukee, in Wisconsin, ma nell’ultima settimana si è parlato molto di uno dei nodi che solitamente si sciolgono definitivamente proprio in occasione delle convention: chi sarà il candidato vicepresidente di Donald Trump?
Sappiamo intanto chi non sarà: Mike Pence, il suo vicepresidente durante il mandato 2017-2021. L’ex governatore dell’Indiana ha già dichiarato che non voterà per Trump e ad oggi è impensabile che possa essere scelto come suo compagno di corsa.
Il favorito è Tim Scott?
Si dice che ci sia una shortlist, anche se è meno short di quanto si potrebbe pensare. Il New York Times elenca 20 possibili nomi, il Washington Post addirittura 23.
Il favorito oggi è considerato Tim Scott, senatore eletto nella Carolina del Sud e unico senatore nero fra i repubblicani. Non è uno dei più vicini a Donald Trump, ma forse è proprio questo che lo rende appetibile.
Spesso infatti la scelta del vicepresidente serve anche per coprire qualche mancanza del presidente e rendere il ticket più “completo”.
Ad esempio, quando Joe Biden nel 2020 ha dovuto scegliere il suo vice, stabilì quasi subito che si sarebbe trattato di una donna e nella shortlist c’erano molte opzioni appartenenti a minoranze, con un’età molto inferiore a quella di Biden e spesso anche con idee meno moderate dell’attuale presidente.
Alla fine la scelta cadde su Kamala Harris, che fra l’altro soddisfaceva tutti questi requisiti: donna, non bianca, 56 anni (all’epoca), progressista.
Chi c’è nella shortlist?
Un’alternativa molto chiacchierata a Scott era Kristi Noem, governatrice del South Dakota che però sembra aver perso molte posizioni dopo aver scritto in un libro di aver sparato al suo cane di 14 mesi perché era indisciplinato, uccidendolo. Sarà anche una dimostrazione delle “scelte difficili che bisogna fare ogni giorno”, come ha replicato lei, ma la rivelazione è stata molto criticata e non giocherà certo a suo favore. C’entrano anche altri suoi punti di debolezza, scrive Politico, che definisce la sua candidatura “morta come il suo cane”.
La lista degli altri possibili candidati include:
Tulsi Gabbard, ex candidata presidente e deputata per il Partito Democratico (sì esatto) fino al 2021 e oggi indipendente in polemica con il suo ex partito.
Elise Stefanik, giovane deputata repubblicana che si è messa in mostra durante le audizioni dei presidenti delle università, oggi considerata fra i favoriti.
Lo scrittore J. D. Vance, oggi senatore eletto in Ohio, autore fra le altre cose di Hillbilly Elegy, opera di cui si parlò tanto e che racconta la distanza fra l’America rurale e urbana. C’è anche il film - non male - su Netflix se volete recuperarlo.
Tucker Carlson, ex star di Fox News e grande sostenitore dell’ex Presidente, considerato fra coloro che hanno più favorito la sua ascesa.
Ci sono poi nomi grossi del partito come alcuni candidati alle primarie 2016 (Rubio, Carson..) e ovviamente i candidati sconfitti nel 2024, come DeSantis, Ramaswamy e… Nikki Haley.
Il Washington Post ha anche messo i suoi 23 nomi in un piano cartesiano in base a quanto siano vicini a Trump e a quanto siano utili alla sua candidatura. Come dicevamo prima, solitamente più sono distanti dall’ex Presidente e più possono aiutarlo (e infatti la più utile è considerata Nikki Haley).
Se volete fare una scelta vostra ma consapevole, sempre il Washington Post vi permette di selezionare quali sono i parametri che voi considerate importanti nella scelta di un vicepresidente (esperienza amministrativa, lealtà, esperienza elettorale…) per arrivare alle opzioni più affini.
Le proteste nelle università
In questi giorni si è anche parlato molto delle proteste nelle università contro il sostegno degli Stati Uniti a Israele, che sono sfociate anche in una repressione violenta da parte della polizia.
In un sondaggio svolto prima dell’ingresso delle forze dell’ordine nei campus la maggioranza degli americani sosteneva che nelle università c’è un problema sia di islamofobia sia di antisemitismo, anche se il secondo è considerato più presente, specialmente dagli anziani.
La richiesta di un cessate il fuoco permanente in Medio Oriente riflette comunque l’opinione degli elettori più giovani e soprattutto dei laureati e di chi frequenta l’università, secondo un sondaggio del medesimo istituto.
Ovviamente però in questo caso c’entra molto nel giudizio dell’opinione pubblica anche cosa si pensa dei metodi di protesta scelti.
In un sondaggio dello scorso settembre di YouGov, ad esempio, meno della metà degli elettori Democratici (e ancora meno fra quelli Repubblicani) considerava accettabile protestare occupando palazzi o spazi pubblici.
Intanto sull’onda di questi eventi il congresso ha approvato con un voto bipartisan l’Antisemitism Awareness Act, una legge che nelle intenzioni permette di intervenire contro atti di antisemitismo.
Tutto il resto: l’aborto in Arizona, un pareggio rotto dal riconteggio e le prime medie di 538
🤰 Alcune settimane fa vi avevamo parlato della legge sull’aborto del 1864 rientrata in vigore in Arizona. Il Congresso locale ha approvato una nuova legge che la supera e garantisce nuovamente il diritto all’aborto a milioni di donne.
🤏 Ricordate il pareggio 30.249 a 30.249 nelle primarie per un seggio da deputato per la California? Il riconteggio ha dato ragione a Evan Low, che ha vinto di 5 voti. Immaginiamo che sia un po’ una scocciatura per lo sconfitto Sam Liccardo.
🆕 Prima di questa settimana FiveThirtyEight non pubblicava la media dei sondaggi sulle presidenziali. Ora è disponibile e dà Trump avanti di poco meno di un punto.
Altre letture
Biden ha affrontato tante campagne per la rielezione quando era al Congresso, senza mai alcuna difficoltà. Per questo non è abituato a una campagna come quella che sta affrontando oggi, scrive il New York Times ripercorrendo i suoi precedenti.
Le proteste di massa, anche quando non sono particolarmente violente, mettono a disagio l’elettorato americano, che si tratti di diritti civili o guerra. Ne scrive Politico suggerendo un parallelo fra le proteste degli anni ‘60 e quelle di questi giorni, che potrebbero non aiutare affatto i Dem.
Se avete qualche ora libera, potete giocare con il nuovo speciale interattivo di FiveThirtyEight che ha diviso in 8 gruppi i deputati americani sulla base delle loro votazioni al Congresso, incrociando questi “cluster” con ideologia, anzianità di servizio, risultati elettorali nel distretto, appartenenza ai “caucus” ufficiali (una specie di sotto-comitati che riuniscono parlamentari con interessi comuni). Semplicemente strepitoso.